Ancora una volta una mostra accuratamente organizzata a
Palazzo a Rocca, dall’Associazione Tecnica Mista, con il
patrocinio del Comune di Chiavari, ci conferma che nei primi anni
del dopoguerra Chiavari non soltanto voleva ricostruire il proprio
tessuto urbano, prezioso nella sua storia e poi malamente
riedificato, ma appassionatamente tendeva a riallacciare rapporti
culturali con l’Europa. Milano era Il crocevia della tendenze e là si
indirizzavano i giovani, studenti e artisti, soprattutto al Politecnico.
Là si aprivano quelle gallerie che esponevano anche artisti venuti
da “fuori”. E Chiavari vedeva animarsi le strade, i “caroggi”, tanto
che la sera era facile imbattersi in Bartolomeo Sanguineti, in
Luiso Sturla, in Vittorio Ugolini, in Rodolfo Costa, che discutevano
di arte, di tecniche pittoriche, di correnti estetiche, di neocubismo,
di informale, di concretiamo, di “arte pura”, sino a quando, fattesi
le ore “molto piccole”, qualcuno gridava loro “ anei a ca, anei a
dormi…!”
Nel 1952 arriva a Chiavari anche Lino Perissinotti, che con i suoi
paesaggi, dove la luce crea atmosfere tonali che dilatano gli
spazi, arricchisce il confronto tra artisti.
In quell’anno Sturla aveva appena 22 anni, mentre Sanguineti era
un maturo trentaseienne, e Ugolini era più giovane di lui di due
anni. E fu Ugolini stesso a far conoscere a Luiso quel lavagnese
silenzioso ma appassionato. Sturla già frequenta Rambaldi,
piuttosto isolato, e Silvio Cassinelli.
Bartolomeo Sanguineti era dunque nato a Lavagna, e lavorava da
falegname nella bottega del padre con il fratello, creando mobili
per gli architetti moderni, ma con grande convinzione si dedicava
anche alla pittura. Era molto attratto dalla corrente dell’”Orfismo”,
teorizzato da Delaunay, da Ozenfant, da Apollinaire. Sotto
l’influenza del Futurismo italiano, all’interno del Cubismo analitico,
che voleva fare dell’oggetto naturale – attraverso la
scomposizione formale – un oggetto d’arte, si era creata una
secessione che tendeva all’uso astratto del colore e
all’applicazione di una visione “dinamica” , in rapporto spazio-
temporale. L’Orfismo intendeva realizzare una nuova forma
compositiva, rispondente alle esigenze – o alle richieste – di una
società che veniva configurandosi come tecnologica e dinamica.
La mostra è significativa sia per conoscere l’autore sia per
comprendere il clima artistico che Chiavari sperimentava, e
raccoglie circa 60 opere che consentono di approfondire il
percorso artistico di Bartolomeo Sanguineti, amico di molti pittori
con cui era legato in una vivace forma di confronto. Ad essi era
prodigo di riconoscimenti e di consigli, ma restava sempre del
tutto autonomo nelle scelte di stile e anche di vita.
Era nato nel 1916, e nel fervore degli anni che vanno dal 46/47
sino al ‘60 prese parte dunque – con presenza discreta ma
appassionata – al formarsi di gruppi e di movimenti artistici: nel
1956 al Gruppo del Golfo, poi al Gruppo Arte Indipendente, infine
al MAC, Movimento di Arte Concreta, al quale però non prese
parte diretta. Tuttavia – ricorda Luiso Sturla – aveva disegnato il
simbolo del Gruppo del Golfo.
Ma Sanguineti, “Bartolito” , come lo chiamavano gli amici,
perseguiva la sua strada. Non mancava di mezzi artistici, ma
forse gli mancava la fiducia in se stesso. Pure condivideva con gli
amici pittori la ricerca di un’espressione libera e universale,
sostenuta da una rigorosa ed incessante ricerca.
Fu proprio lui a incoraggiare Sturla verso l’astratto. Ma non volle
lasciare il suo piccolo mondo di Lavagna quando Sturla, sciolto il
MAC, espose a Firenze e andò infine a New York, là dove
dall’Europa molti artisti si erano rifugiati.
“Bartolito” dunque continua a disegnare e a dipingere finché
incontra una crisi che orienta la sua vita in una direzione per così
dire “mistica”. Si ritira in un convento vicino a Campobasso, dove
per un certo tempo vive in solitudine, a contatto con la natura.
Quando lascia il monastero e ritorna a Lavagna, la sua pittura si
fa più descrittiva, con frequenti richiami all’orientamento
impressionista, suggestione che non lo ha mai lasciato. Il
matrimonio poi con la professoressa Alice Alessandrini lo riporta
in un’atmosfera più cittadina e agli studi di paesaggio, dove
ritorna la ricerca della luce quale nostalgia di quel purismo proprio
della corrente orfica, che continua ad assediarlo.
Notevoli sono di questo periodo gli autoritratti e gli studi di figura,
che appaiono quasi considerati “oggetti” e resi come tali, e che –
in questa visione – audacemente si incentrano su alcuni dettagli (
il busto, il capo…) ma ostentano la perdita, o la non rilevanza di
parti quali le braccia, ecc…
Ma quel che il visitatore della mostra non può dimenticare è la
presenza di due dipinti a “sanguigna” affiancati, che
rappresentano una strada, forse il terminare di una radura in un
bosco. Il senso profondo dello spazio con il suo mistero,
l’equilibrio e il dinamismo di quei pochi segni, purissimi, limpidi,
come assorti in un silenzio sospeso, quasi il rivelarsi incombente
di un mistero, dicono la padronanza di un’arte che è stata ricerca,
inquietudine, necessità espressiva.
Non è facile immergersi nella contemplazione di opere che
condividono – nella stessa stanza, in spazi angusti – la presenza
di grandi dipinti a olio di secoli passati, ma certo, al termine della
visita, urge la necessità di ritornare ad osservarle.
Opportuna quindi è stata la decisione dell’Amministrazione
Comunale di prolungare la mostra, che abbiamo visitato in
gruppo, quali docenti e iscritti ai Corsi di Cultura, insieme con la
presidente, la dottoressa Silvana Rigobello, appassionata
direttrice.
La visita è stata personalmente guidata da Gianluca Lizza,
apprezzato docente dei Corsi di Cultura in Storia dell’arte e degli
artisti liguri del Novecento, e in prima fila tra gli organizzatori e i
curatori della Mostra per l’Associazione Tecnica Mista; egli ha
illustrato con passione e competenza la disposizione delle opere
e le fasi dell’evoluzione personale dell’artista, consentendo ai
numerosi partecipanti un approfondimento sulla personalità del
pittore e su luoghi, temi e persone alle radici della sua ispirazione.
Elvira Lando’